Archive for June 2015

[Rubrica] Una Giornata a... Torino Comics

    • Una Giornata a...

      articolo di Roberto Biolcati

      Siamo giunti, come ogni anno, alla fine del Torino Comics, la fiera dei comics and game organizzata da Vittorio Pavesio che quest'anno ha visto davanti a sé la sua XXI edizione, un record di presenze che ha sbaragliato gli anni precedenti con oltre trentacinquemila biglietti emessi nei tre giorni di evento.
      Come ogni anno molti sono stati gli ospiti del comics, tra cui il fumettista Leo Ortolani, autore di Rat-Man che ha annunciato la fine della sua opera nel 2017. Molti i fumettisti dal mondo Disney tra cui Casty, Paolo Mottura e Valerio Held. Restando in ambito di disegnatori, vi è stato spazio anche per i fumettisti che hanno fatto strada nel web come Fraffrog, Don Alemanno (autore di Jesus) e Lorenza Di Sepio. Questo comics ha portato con sé una novità, la "Torino Comics Horror Fest" tre giorni di dibattiti e proiezioni a tema horror e Fantasy, ospite d'onore Sergio Stivaletti regista e creatore di effetti speciali italiano. Ha ideato e creato personaggi e mostri per il cinema, la televisione
      e il teatro, collaborando con alcuni dei più grandi registi italiani come Dario Argento e Roberto Benigni.
      Si è svolta anche la diciottesima edizione del premio "Pietro Micca", una gara dove a suon di tratti si sono sfidati vari fumettisti e disegnatori. L'immagine che tra tutte quelle realizzate vincerà, sarà usata per la realizzazione delle magliette che verranno messe in vendita. Il loro ricavato verrà donato all'associazione LEO che si occupa di difendere i rinoceronti dal bracconaggio. Questa non è stata l'unica opera di beneficenza presente in fiera poiché il gruppo cosplay for children con il supporto della onlus Forma affianca l'ospedale Regina Margherita di Torino per regalare un sorriso ai bambini ricoverati con la presenza dei Cosplayer, da spendere una grande parola appunto sui Cosplayer, protagonisti del sabato e della domenica di fiera.

      I cosplayer sono persone con la passione del fumetto, dei cartoni animati giapponesi e italiani e videogiochi e film in generale che per un giorno interpretano i loro personaggi preferiti e amati, realizzando a mano o come possibile i vestiti dei personaggi, le armi e assumendone le pose, si calano nei loro panni per un intera giornata all'insegna del divertimento. La gara cosplay ufficiale di domenica ha visto più di cento esibizioni e alto è stato il livello di cosplayer dalla realizzazione difficile presenti. Il compito della giuria non è stato affatto facile e come sempre si è creato qualche scontento tra i partecipanti ma la cosa importante è divertirsi in ogni caso anche se il superpremio di quest'anno era molto allettante, il primo classificato ha ricevuto in premio un viaggio in Giappone interamente pagato dagli organizzatori del comics.
      Piccola nota negativa di questa edizione era lo squilibrio tra Fumetti/manga e gadget, molti hanno apprezzato la presenza di più gadget in fiera ma lo spazio riservato ai fumetti era davvero limitato, grande spazio è stato dato invece all'area games e a molti gruppi come la umbrella, dal gioco resident evil e la squadra dei ghost buster dall'omonimo telefim. Con la conclusione di questo comics non resta che prepararsi per la prossima fiera che si terrà a Torino verso metà dicembre con il Torino Comics Christmas Day.
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[Rubrica] L'Ulivo sta Morendo

    • L’ulivo sta morendo

      articolo di Chiara Vigna



      In questi ultimi anni gli ulivi presenti sul territorio italiano, in particolare a partire da quelli presenti nel sud della Puglia, sono stati colpiti da un improvviso deperimento, si pensa dovuto principalmente al batterio fitopatogeno Xylella fastidiosa, che colonizza e fa marcire i tessuti interni xilematici della pianta. Questi tessuti servono per trasportare la linfa grezza dalle radici ai luoghi, dove verrà rielaborata, cioè le foglie chiamate sink . Se tali tessuti marciscono, la linfa non arriva agli organi sink, che non possono praticare la fotosintesi. Oltretutto questo specifico batterio è in grado di muoversi contro corrente rispetto al flusso xilematico, raggiungendo le radici e causando la marcescenza di queste ultime. Il batterio è trasportato dall'emittero Philaenus spumarius, Neophlianeus campestris e Euscelis lineolatus. Sono insetti che si nutrono della linfa delle piante infette e ingeriscono il batterio, che rimane vivo nel loro organismo fino a quando non attaccheranno un’altra pianta per nutrirsi della linfa. Non è ancora stata trovata una cura, soprattutto perché esistono numerose varianti patogene del batterio e ognuna attacca un tipo diverso di pianta.
      Conosciamolo: L’ulivo fa parte della famiglia delle Oleaceae, genere Olea e i suoi fiori sono ermafroditi, perciò contengono al loro interno sia l’Androceo, che è la parte maschile del fiore composta dagli stami, e da Gineceo, corrispondente alla parte femminile del fiore, rappresentata da uno o più pistilli. L’impollinazione avviene tramite il vento e la fioritura va da maggio a giugno, ma comincia a fruttificare solo dopo 3-4 anni di vita e raggiunge la maturità intorno ai cinquant'anni. E’ caratterizzato da una crescita vegetativa, che rallenta man mano che la pianta diventa adulta. Ciò gli permette di arrivare fino a mille anni di età. Rari esemplari sono arrivati fino hai duemila anni. Si tratta infatti di una delle piante più longeve sul territorio Italiano. La sua lenta crescita vegetativa, unita al fatto che presenta radici superficiali che non tendono a superare un metro di profondità, rendono questa pianta particolarmente adatta alla coltivazione in vaso. Tuttavia è necessario adoperare determinati accorgimenti, soprattutto se ci troviamo in zone a clima freddo o più umido rispetto al sud e centro Italia.
      La pianta in vaso necessita di un terriccio composto al 50% da terriccio universale e per il restante 50% deve essere composto in parti uguali da torba, sabbia, lapilli e stallatico maturo, che deve arrivare fino al 15% della composizione se la pianta è molto piccola e giovane. L’ulivo è una pianta eliofila, cioè amante del sole e di un clima temperato caldo. Tuttavia si adatta bene anche a luoghi più freddi, purché si provveda a sistemarla in posizioni soleggiate e riparate dal vento. Intorno ai 3-4 gradi la pianta comincia a patire e a –7 se ne rischia la morte. Pertanto durante il periodo invernale bisogna coprire la radici con paglia, foglie secche oppure agritessuto e avvicinarla alla casa, così che possa usufruire del calore emanato. Essendo una pianta sempreverde è bene proteggerne anche le foglie, spruzzandovi l'ossicloruro di rame oppure avvolgere la pianta in un telo, assicurandosi di lasciare spazi per il passaggio dell’ aria. In questo modo si riuscirà a proteggere la pianta dalle gelate, che ne causerebbero la morte. L’ulivo presenta oltretutto un’ottima resistenza alla siccità. Pertanto l’annaffiatura deve essere effettuata nei primi anni di vita e in estate ogni due settimane, in autunno una volta al mese e durante l’inverno non deve essere irrigata. Per una sana crescita in vaso, poiché dispone di uno spazio limitato è opportuno potarla in base alle esigenze e allo spazio, che le si può riservare. Bisognerà provvedere a un travaso ogni due tre anni, da effettuare nel periodo primaverile e seguito da opportuna concimazione del terreno con fertilizzante liquido a base di azoto e acqua, utili a consentirle di superare lo shock dell’ “operazione”.

      Proposta: La coltivazione di un ulivo sul nostro balcone può favorire la conservazione di questa importante pianta del nostro patrimonio botanico. In più possiamo mantenere la tradizione dell’ulivo della pace il giorno delle Palme, senza depauperare il nostro patrimonio botanico, usando i rami di potatura da portare in chiesa per condividerlo con tutti.
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[Rubrica] Vieni a pescare con me!!

    • Vieni a pescare con me!!
      -PESCA COL GALLEGGIANTE IN ACQUA DOLCE-

      articolo di Stefano Terrando

      E’ uno dei metodi di pesca più diffusi nel continente europeo. La ragione è da ricercare nel fatto che quasi tutte le specie d’acqua dolce possono essere insidiate con questa tecnica che sfrutta un elemento tanto semplice quanto essenziale: il galleggiante. Il panorama che offre questo oggetto è molto più vario di quanto si possa immaginare, si può comunque definire come un oggetto costruito allo scopo di galleggiare sull'acqua oppure come mezzo di segnalazione di un punto specifico o delle abboccate del pesce che stiamo andando a pescare. Dovendo avere una bassa densità per galleggiare, i materiali più diffusi sono legni leggeri come la balsa o il sughero oppure la plastica e suoi derivati come il polistirolo.
      Come è fatto un galleggiante? Nella maggior parte dei casi si forma di tre parti:
      ASTINA: Si tratta di un segmento colorato, di solito rosso o giallo, posto nella parte alta del galleggiante. Questa permette l’individuazione dello stesso e le eventuali abboccate dei pesci. Effettuata la taratura o piombatura del galleggiante sarà l’unica parte visibile in fase di pesca.
      CORPO O BULBO: Questa è la parte del galleggiante che gli permette di eseguire il suo compito più importante, cioè galleggiare. Determina inoltre il peso stesso del galleggiante, la grammatura che si dovrà poi andare a mettere sulla lenza sotto forma di piombo allo scopo di tararlo.
      DERIVA: E’ il prolungamento del galleggiante situato nella parte inferiore. Oltre a garantire la stabilità del galleggiante è fondamentale in quanto consente di fissare il filo della lenza mediante  tubicini di silicone. Inserendone due o tre per ogni montatura si potranno evitare spiacevoli ingarbugliamenti.


      I materiali più comunemente usati per la deriva sono il carbonio, la plastica e il tonchino, un tipo di legno.
      Tra le principali tipologie di galleggiante possiamo distinguerne alcuni modelli comuni. Il modello a carota o pera rovesciata (il primo da sinistra) presenta una forma più larga nella parta alta del bulbo mentre il profilo si assottiglia nella parte inferiore. Questa forma ci permetterà di pescare in acque correnti sia profonde che basse adattandosi bene all'utilizzo della canna fissa, della bolognese oppure della roubasienne. Più tozzo sarà il nostro galleggiante e meglio affronterà la corrente dei fiumi permettendo una buona trattenuta della lenza in fase di passata. Il modello a goccia (il secondo da sinistra), la cui forma richiama evidentemente una goccia, si adatta meglio alla pesca in acque ferme o con correnti minime. Infine un altro modello comunemente usato è quello a sfera, forse il più utilizzato nella pesca in torrente. Infatti nella sua semplice forma sferica risulta molto stabile. Purtroppo ha il difetto di non eccellere nella segnalazione e nella visibilità.

      Un’ultima ed ulteriore distinzione da fare per quanto riguarda i galleggianti, consiste nella modalità di unione del galleggiante con il filo della lenza. Come già accennato i modelli fino ad ora analizzati andranno fissati mediante piccoli tubicini in silicone, detti guaine, che bloccheranno il filo unendolo alla deriva. In questo modo, con un galleggiante così fissato, la nostra profondità di azione non potrà superare la lunghezza della canna che stiamo usando. In altre parole, fissando il galleggiante ad un metro dall’amo significa pescare a tale profondità. I modelli di canne in distribuzione variano dal metro della canna per la pesca del’alborella fino ai 14,5 mt. delle roubasienne. Se si volessero raggiungere profondità ancora maggiori l’unica alternativa è il galleggiante scorrevole. Come suggerisce il nome, scorrerà lungo il filo del mulinello grazie a due anelli posti in genere sotto l’antenna e alla base della deriva. Talvolta questi galleggianti sono privi di deriva. Quello che renderà possibile pescare ad una profondità voluta e maggiore della lunghezza della canna è il cosiddetto nodo di stop o stopper. Questo potrà essere posizionato alla distanza che si vuole dall'amo, avvolgendosi nel mulinello e fuoriuscendo nel momento del lancio fermando il galleggiante all'altezza voluta. I materiali con cui è più comune trovare questi stopper sono il nylon, il filo di cotone e il trecciato. Altri piccoli stopper sono fatti di cauciù e presentano una forma a chicco di riso nella maggior parte dei casi.
      Quando si pesca in acque ferme ritorna utile una particolare montatura, chiamata drop, che consente all'esca di essere calata in acqua in modo molto naturale. Consiste nella concentrazione della maggior parte dei piombini nella vicinanza del galleggiante, un numero inferiore a circa metà dall'ultimo pallino, che invece va collocato a circa 30-50 cm dall'amo. Questo tipo di montatura consentirà di ottenere catture anche in fase di calata dell’esca sul fondo. Al contrario, in caso di acque molto fredde, difficilmente i pesci si muoveranno per catturare un’esca nella fase di calata. Stazioneranno perciò in modo compatto sul fondo del lago, solitamente nelle zone più profonde. Occorrerà quindi modificare la propria montatura in modo tale da raggiungere il fondo più velocemente e stuzzicare i pesci là rintanati. Questa montatura è chiamata bulk e consiste nella concentrazione dei piombi, a modo di zavorra, a breve distanza dall'amo, cioè nel punto di unione del filo terminale con il filo della montatura.
      Nel caso di pesca in fiume la piombatura invece varia a seconda della corrente. Acque più tranquille richiederanno pochi piombini, mentre la pesca in acque veloci e profonde richiederanno una zavorratura decisamente più consistente.
      Le esche per questo tipo di pesca sono un infinità, ciononostante i bigattini, il pane, i lombrichi e il mais sono spesso esche molto redditizie. Bisogna però sottolineare che studiare il luogo dove si vuole pescare, cioè comprendere di cosa maggiormente si nutrono i pesci di una determinata area a seconda della stagione, permetterà di fare catture estremamente emozionanti.
      Per qualsiasi approfondimento in merito a questa splendida tecnica di pesca o per scoprire più da vicino di che cosa stiamo parlando venite a trovarci da Dimensione Pesca in Via Sacchi 50 a Torino oppure contattateci a questo indirizzo email: Dimens.pesca@gmail.com o al numero 011/5682896.
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Angoli della mia Città: Casa De Bernardi

    • Angoli della mia Città

      articolo di Gabriele Argirò
      fotografie di Pietro Clarizia




      Casa De Bernardi
      Via Paolo Sacchi 40-42


      Il millenovecentoquattro è un anno eclettico perché vede il susseguirsi di eventi culturali, sportivi, politici e fatti storici che cambieranno per sempre la storia d’Italia e non sempre in meglio.
      L’ouverture del nuovo anno si apre con un’immane tragedia, pari solo a quella dell’alluvione di Firenze del 1966 in cui venne devastata la Biblioteca Nazionale: l’incendio alla Biblioteca Nazionale dell’Università di Torino. Dopo aver subìto l’elevazione e l’esproprio di città Capitale in favore di Roma, Torino avrebbe motivo per abbandonarsi a se stessa. I danni a seguito dell’incendio sono molto ingenti: vanno distrutti circa 24.000 volumi e tutta la collezione dei Savoia: inimmaginabile la perdita per il mondo della cultura e della letteratura.
      L’anno sembra animato da infausti dei: la Fortuna e il Genio culturale italiano sembrano essersi dissolti nel nulla: anche la Prima alla Scala di Milano della Madama Butterfly di Giacomo Puccini si conclude in un fiasco clamoroso.  
      Il pubblico non apprezza l’opera e fischia a lungo. Qualcuno nel pubblico invoca persino il suicidio finale di Butterfly. La critica è crudele: l’Avanti, senza troppi complimenti sintetizza la serata così:

      «L’enorme lunghezza di ambedue gli atti stancò il pubblico. Indispose l’uditorio la ripetizione degli spunti notissimi nelle altre opere di Puccini contrastanti colla vacuità del resto dell’opera. Qualche brano pregevole annegò nella monotonia». Tuttavia il maestro Puccini dà prova di coraggio e coerenza quando in un’intervista al Corriere della Sera afferma: «Prima della Manon, prima della Bohème, prima della Tosca ero agitatissimo. E quelle opere furono dei successi. Questa volta mi sentivo tanto tranquillo! [...]La bufera [...] non mi ha abbattuto. Io voglio ancora bene a Butterfly. Ci credo ancora». Mentre in Italia si vive il flop dell’opera pucciniana, al Metropolitan di New York va in scena L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti e nell'opera canta Enrico Caruso: uno straordinario successo. Tra queste e altre vicissitudini Torino non si arrende, si conferma una città che non sta mai ferma e affronta fieramente il disastro causato dall'incendio alla biblioteca, si rimbocca le maniche e iniziano i restauri e il salvataggio di tutto ciò che si può. Contemporaneamente si lavora al nuovo trampolino di lancio che porterà di nuovo Torino all'apice della fama non solo italiana ma mondiale: nel febbraio millenovecentoquattro ha luogo la prima Esposizione Internazionale di Automobili di Torino: sono esposte 60 auto, 110 moto, 3 canotti, 115 biciclette. La grandiosa iniziativa attira un numero strabiliante di persone, una fila interminabile alla biglietteria, i biglietti staccati sono decine di migliaia: si contano 50 mila visitatori provenienti da tutte le parti del mondo.


      L'Italia cavalca l’onda della ribalta con l’opera lirica: al Teatro Lirico di Milano, va in scena la prima rappresentazione della nuova tragedia di Gabriele D’Annunzio, La figlia di Jorio: un immenso dramma umano che ottiene un grande successo.

      Dietro al successo naturalmente vive la storia dei personaggi e dei protagonisti: per esempio il ruolo della protagonista è affidato all'attrice Irma Grammatica. Eleonora Duse, compagna di D’Annunzio, è sull'orlo del suicidio quando si accorge che la scelta è caduta sulla nuova amante del poeta. I testimoni riportano che quando Eleonora si reca a casa di D’Annunzio per ritirare le sue cose, trova due forcine della nuova amante e si infuria a tal punto da voler dar fuoco alla casa. Il Vate D’Annunzio, con con la complicità del portiere di casa sua riesce a calmare la Diva e quasi indifferente al dolore provocatole, come se non fosse successo nulla, pubblica il secondo e il terzo libro delle Laudi: Elettra e Alcione. Nello stesso periodo lo scrittore e poeta Luigi Pirandello pubblica Il fu Mattia Pascal. Contestualmente la Camera approva la legge Orlando che eleva l’obbligo scolastico fino a 12 anni, Matilde Serao fonda Il Giorno, il quotidiano di Napoli. È la prima volta che una donna è ai vertici di un’istituzione.

      La cultura e il fervore culturale italiano approfittano ancora della vetrina della prima capitale. Il produttore Ambrosio avvia a Torino il primo studio cinematografico d’Italia, trent'anni prima circa della fondazione degli studi di Cinecittà di Roma.


      Torino sembra una città in fibrillazione, il fervore creativo e la vena innovativa si respirano a pieni polmoni in tutti gli angoli della città, dal centro alle periferie, nei parchi pubblici come nelle fabbriche; essa è una città operosa e piena di vita, ricca di spunti architettonici che come in una città fantastica fondono insieme stili differenti nello stesso squarcio di città. Posiamo lo sguardo in quella che oggi è via Paolo Sacchi, in zona Porta Nuova. Vi troviamo palazzi neogotici, liberty, neoclassici e anche razionalisti e moderni, tutti insieme e uno dopo l’altro si legano in modo sinuoso e mai pesante alla vista a volte distratta e a volte attenta di torinesi indaffarati o assopiti nei loro pensieri o di turisti che appena giunti in città desiderano solo recarsi in albergo per ristorarsi dopo un lungo viaggio.

      Ma la storia che voglio raccontarvi oggi è quella di un palazzo sito proprio alla metà di Via Paolo Sacchi, ai numeri 40/ 42, ovvero il compito di autorizzare o meno la costruzione di palazzi pubblici e privati, negozi ed esercizi commerciali o scuole, in poco più di un mese dà parere favorevole e i lavori prendono il via. Casa De Bernardi viene conclusa qualche anno dopo.

      Oggi la possiamo ammirare nel suo stato originale non avendo subìto modifiche né di colori e né nella struttura architettonica; essa continua a svolgere in silenzio la sue funzioni di residenza di famiglie benestanti, di uomini di affari che vanno e vengono dai loro studi professionali senza mai fermarsi e di studenti fuori sede che studiano all’Università o al Politecnico, proprio dove si laureò nel 1889 il suo progettista, Pietro Fenoglio.

      L’abitazione offre chiari e preziosi elementi dello stile liberty, anche se un’osservazione più attenta permette di cogliere altri influssi: lo stile neoclassico delle decorazioni dei balconi del primo piano e delle grandi teste di figure femminili che sembrano reggere sotto i portici tutto il peso dell’enorme costruzione, mentre i capitelli delle colonne dei portici ricordano molto più lo stile corinzio. Ciò nonostante lo stile liberty è ridondante ad iniziare dai due maestosi e solenni bow-windows che incorniciano la palazzina: la loro struttura possente e massiccia dona staticità e sicurezza all'intero complesso, che tuttavia si dona con leggerezza grazie alle decorazioni fitomorfi e ai disegni delle strutture in ferro battuto dei balconi dei piani superiori con cui sembrano rincorrersi.

      Entrando nell'atrio del palazzo ci imbattiamo in altri suggestivi elementi tipici del liberty: gli affreschi in stile floreale che ricoprono finemente i soffitti delle rampe di scale e le decorazioni nell'originario ferro battuto che riparano le finestre policrome dei pianerottoli. Non passano inosservati nemmeno i mosaici che si susseguono tra una rampa di scale e la successiva e quelli che decorano a metà parete il vano delle scale. Casa De Bernardi nel 1906 è quasi del tutto completata quando, per volere del suo proprietario, il progetto subisce un’inattesa modifica: viene aggiunta nel cortile una tettoia chiusa.
      Così si verifica l’unico momento di stallo del cantiere, con un braccio di ferro tra De Bernardi e Fenoglio da una parte e la Commissione D’Ornato dall'altra.

      I primi chiedono che venga costruita a tutti i costi questa tettoia, i secondi pongono dei paletti in considerazione del fine ultimo della richiesta di modifica, ovvero un’attività industriale. Il tira e molla si conclude, dopo una fitta corrispondenza tra la proprietà e la Commissione, con un compromesso. Il 18 aprile 1906 la delibera della Giunta Comunale tramite l’assessore Brayda riferisce: “[...] secondo quanto venne in casi analoghi praticato, si possa concedere il chiesto permesso in via precaria, coll'obbligo di demolire la tettoia stessa quando venga a cessare la destinazione della medesima ad uso industriale, facendo risultare della precarietà con regolare atto deliberatamente trascritto a spese del Sig. De Bernardi il pagamento dell’annuo canone di L.10 in riconoscimento della precarietà. La Giunta accorda il permesso […] deliberatamente […] alla osservanza delle condizioni sopra riferite.”



      Oggi quella tettoia - dal 1921 proprietà della Confetteria Pfatisch - esiste ancora e si può sbirciarla entrando nel cortile del palazzo.
      Nel complesso susseguirsi di palazzi e di stili architettonici tra loro molto diversi, oggi questa casa passa quasi inosservata; ho deciso di scrivere la sua storia convinto che essa meriti attenzione per una serie di preziosi dettagli artistici. Infatti lungo la linearità della facciata risaltano le decorazioni minori, le finiture, le volute, i giochi ai capitelli e sulle finestre, i ferri battuti dei balconi sotto i portici; i colori prima accesi e caldi e via via più pallidi e freddi producono un risultato finale di grande squisitezza e il colpo d’occhio che si ha osservando Casa De Bernardi è di grande impatto.

      La storia di Casa De Bernardi non si esaurisce a ciò che appare all'esterno, essa racchiude in sé e narra svariate storie: fa parte della rete vastissima delle 130 case costruite in soli 25 anni dall'architetto Pietro Fenoglio, ed ancora sotto il livello delle sue cantine si apre un dedalo di cunicoli e rifugi anti-aerei costruiti durante la II Guerra Mondiale che si collegano a quelli delle abitazioni vicine e che arrivano quasi alla stazione di Porta Nuova.

      E quella tettoia oggetto di controversie burocratiche? Sotto i portici, tra la folla che attraversa ogni giorno quel tratto di via, oggi come allora, scorgiamo l’ingresso della ormai famosissima pasticceria Pfatisch (oggi aderente all’Associazione Locali Storici di Italia), inaugurata nel 1915, ma che nel 1921 viene trasferita qui, in casa De Bernardi e da allora non si è mai più spostata. Quasi a dire un luogo magico! Nel 1926 gli affari della pasticceria erano proficui tanto che i mastri cioccolatai decisero di ingrandire il loro locale raddoppiandolo in grandezza e ristrutturandolo con un gusto ispirato all’art decò: la facciata fu quindi costruita in legno massello di noce con inserti di onice, come anche il portainsegna che racchiude lettere in bronzo. Gustarvi un buon caffè accompagnato da deliziosi pasticcini artigianali permette di respirare un’atmosfera d’altri tempi e di provare un insolito stupore nell'ammirare uno spazio rimasto intatto nel tempo: una struttura in massello di noce con specchiere nelle quali mirarsi timidamente, piani di cristallo e banchi coperti di marmo screziato con inserti di radica di noce.


      Un clima avvolgente, un accogliente salotto di casa dove vanno a posarsi con delicatezza i riflessi di luce dei due lampadari di Murano di inizi del ‘900.
      Entrando da Pfatisch sembra che il tempo si sia davvero fermato. La confetteria ha subìto nel tempo giusto qualche ritocco al fine di ottemperare alle rigide e giuste normative che regolano la sicurezza degli esercizi commerciali, ma nulla ha modificato il cuore del luogo. Oggi come allora gentili signore in divisa rossa, servono i clienti, i mastri cioccolatai continuano a sfornare piccole delizie di pasticceria: giandujotti, tavolette di ogni forma e dimensione, creme da spalmare e praline di tutti i gusti. Ogni giorno, ad ogni ora, sono loro che hanno lavorato e lavorano per soddisfare anche i palati più sopraffini di timida gente comune, o di intellettuali famosi come Mario Soldati, Indro Montanelli, Norberto Bobbio, o di nobili e aristocratici come il Duca d’Aosta e la contessa Calvi di Bergolo, che hanno varcato la soglia del negozio. Una storia che racchiude le piccole e grandi storie da quasi cento anni.



      E come non ricordare che di recente Casa De Bernardi e la Cioccolateria Pfatisch sono state scelte per girare alcune scene di film quali “Il grande Torino” con i famosissimi Michele Placido, Beppe Fiorello e Tosca d’Acquino e “Enrico Mattei” diretto magistralmente da Giorgio Capitani.

      Preziosità, suggestione, raffinatezza e atmosfere calde e sinuose rendono vita a un luogo che non vuole né può tramontare.


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La mia Città: Numero 00 [Maggio 2015]


    • Sommario
      pag 03: in ricordo di Franco Cannavò
      pag 05: la filosofia dell'associazione
      pag 06: noi ci impegniamo
      pag 08: una giornata a...
      pag 10: progettualità
      pag 14: il precario
      pag 17: un canestro di frutta
      pag 18: anche Gesù era... provvisorio
      pag 19: Don Bosco
      pag 20: La Sindone
      pag 21: unità pastorale Crocetta
      pag 22: Ottimisti non si nasce, si diventa
      pag 24: L'ulivo sta morendo
      pag 27: Angoli della mia città
      pag 39: Lo ScambiaLibro
      pag 40: Conosci Torino (a cura di Bruno Gambarotta)
      pag 42: La Circoscrizione
      pag 44: Casa Diritto di Tutti
      pag 45: Via Sacchi
      pag 46: Associazione Commercianti Borgo San Secondo
      pag 48: Via Gioberti
      pag 49: Comitato Mamme Borgo 10128
      pag 50: L'associazione...
      pag 52: Vieni a pescare con me
      pag 54: Solidarietà mirata al lavoro
      pag 55: Lo spazzacamino si veste di nuovo
      pag 56: COOKIES & Sketches
      pag 57: perché far parte dell'associazione
      pag 58: Corso Dog-Sitter
      pag 59: Oggi Riciclo...
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