Posted by : Unknown June 19, 2015

Angoli della mia Città

articolo di Gabriele Argirò
fotografie di Pietro Clarizia




Casa De Bernardi
Via Paolo Sacchi 40-42


Il millenovecentoquattro è un anno eclettico perché vede il susseguirsi di eventi culturali, sportivi, politici e fatti storici che cambieranno per sempre la storia d’Italia e non sempre in meglio.
L’ouverture del nuovo anno si apre con un’immane tragedia, pari solo a quella dell’alluvione di Firenze del 1966 in cui venne devastata la Biblioteca Nazionale: l’incendio alla Biblioteca Nazionale dell’Università di Torino. Dopo aver subìto l’elevazione e l’esproprio di città Capitale in favore di Roma, Torino avrebbe motivo per abbandonarsi a se stessa. I danni a seguito dell’incendio sono molto ingenti: vanno distrutti circa 24.000 volumi e tutta la collezione dei Savoia: inimmaginabile la perdita per il mondo della cultura e della letteratura.
L’anno sembra animato da infausti dei: la Fortuna e il Genio culturale italiano sembrano essersi dissolti nel nulla: anche la Prima alla Scala di Milano della Madama Butterfly di Giacomo Puccini si conclude in un fiasco clamoroso.  
Il pubblico non apprezza l’opera e fischia a lungo. Qualcuno nel pubblico invoca persino il suicidio finale di Butterfly. La critica è crudele: l’Avanti, senza troppi complimenti sintetizza la serata così:

«L’enorme lunghezza di ambedue gli atti stancò il pubblico. Indispose l’uditorio la ripetizione degli spunti notissimi nelle altre opere di Puccini contrastanti colla vacuità del resto dell’opera. Qualche brano pregevole annegò nella monotonia». Tuttavia il maestro Puccini dà prova di coraggio e coerenza quando in un’intervista al Corriere della Sera afferma: «Prima della Manon, prima della Bohème, prima della Tosca ero agitatissimo. E quelle opere furono dei successi. Questa volta mi sentivo tanto tranquillo! [...]La bufera [...] non mi ha abbattuto. Io voglio ancora bene a Butterfly. Ci credo ancora». Mentre in Italia si vive il flop dell’opera pucciniana, al Metropolitan di New York va in scena L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti e nell'opera canta Enrico Caruso: uno straordinario successo. Tra queste e altre vicissitudini Torino non si arrende, si conferma una città che non sta mai ferma e affronta fieramente il disastro causato dall'incendio alla biblioteca, si rimbocca le maniche e iniziano i restauri e il salvataggio di tutto ciò che si può. Contemporaneamente si lavora al nuovo trampolino di lancio che porterà di nuovo Torino all'apice della fama non solo italiana ma mondiale: nel febbraio millenovecentoquattro ha luogo la prima Esposizione Internazionale di Automobili di Torino: sono esposte 60 auto, 110 moto, 3 canotti, 115 biciclette. La grandiosa iniziativa attira un numero strabiliante di persone, una fila interminabile alla biglietteria, i biglietti staccati sono decine di migliaia: si contano 50 mila visitatori provenienti da tutte le parti del mondo.


L'Italia cavalca l’onda della ribalta con l’opera lirica: al Teatro Lirico di Milano, va in scena la prima rappresentazione della nuova tragedia di Gabriele D’Annunzio, La figlia di Jorio: un immenso dramma umano che ottiene un grande successo.

Dietro al successo naturalmente vive la storia dei personaggi e dei protagonisti: per esempio il ruolo della protagonista è affidato all'attrice Irma Grammatica. Eleonora Duse, compagna di D’Annunzio, è sull'orlo del suicidio quando si accorge che la scelta è caduta sulla nuova amante del poeta. I testimoni riportano che quando Eleonora si reca a casa di D’Annunzio per ritirare le sue cose, trova due forcine della nuova amante e si infuria a tal punto da voler dar fuoco alla casa. Il Vate D’Annunzio, con con la complicità del portiere di casa sua riesce a calmare la Diva e quasi indifferente al dolore provocatole, come se non fosse successo nulla, pubblica il secondo e il terzo libro delle Laudi: Elettra e Alcione. Nello stesso periodo lo scrittore e poeta Luigi Pirandello pubblica Il fu Mattia Pascal. Contestualmente la Camera approva la legge Orlando che eleva l’obbligo scolastico fino a 12 anni, Matilde Serao fonda Il Giorno, il quotidiano di Napoli. È la prima volta che una donna è ai vertici di un’istituzione.

La cultura e il fervore culturale italiano approfittano ancora della vetrina della prima capitale. Il produttore Ambrosio avvia a Torino il primo studio cinematografico d’Italia, trent'anni prima circa della fondazione degli studi di Cinecittà di Roma.


Torino sembra una città in fibrillazione, il fervore creativo e la vena innovativa si respirano a pieni polmoni in tutti gli angoli della città, dal centro alle periferie, nei parchi pubblici come nelle fabbriche; essa è una città operosa e piena di vita, ricca di spunti architettonici che come in una città fantastica fondono insieme stili differenti nello stesso squarcio di città. Posiamo lo sguardo in quella che oggi è via Paolo Sacchi, in zona Porta Nuova. Vi troviamo palazzi neogotici, liberty, neoclassici e anche razionalisti e moderni, tutti insieme e uno dopo l’altro si legano in modo sinuoso e mai pesante alla vista a volte distratta e a volte attenta di torinesi indaffarati o assopiti nei loro pensieri o di turisti che appena giunti in città desiderano solo recarsi in albergo per ristorarsi dopo un lungo viaggio.

Ma la storia che voglio raccontarvi oggi è quella di un palazzo sito proprio alla metà di Via Paolo Sacchi, ai numeri 40/ 42, ovvero il compito di autorizzare o meno la costruzione di palazzi pubblici e privati, negozi ed esercizi commerciali o scuole, in poco più di un mese dà parere favorevole e i lavori prendono il via. Casa De Bernardi viene conclusa qualche anno dopo.

Oggi la possiamo ammirare nel suo stato originale non avendo subìto modifiche né di colori e né nella struttura architettonica; essa continua a svolgere in silenzio la sue funzioni di residenza di famiglie benestanti, di uomini di affari che vanno e vengono dai loro studi professionali senza mai fermarsi e di studenti fuori sede che studiano all’Università o al Politecnico, proprio dove si laureò nel 1889 il suo progettista, Pietro Fenoglio.

L’abitazione offre chiari e preziosi elementi dello stile liberty, anche se un’osservazione più attenta permette di cogliere altri influssi: lo stile neoclassico delle decorazioni dei balconi del primo piano e delle grandi teste di figure femminili che sembrano reggere sotto i portici tutto il peso dell’enorme costruzione, mentre i capitelli delle colonne dei portici ricordano molto più lo stile corinzio. Ciò nonostante lo stile liberty è ridondante ad iniziare dai due maestosi e solenni bow-windows che incorniciano la palazzina: la loro struttura possente e massiccia dona staticità e sicurezza all'intero complesso, che tuttavia si dona con leggerezza grazie alle decorazioni fitomorfi e ai disegni delle strutture in ferro battuto dei balconi dei piani superiori con cui sembrano rincorrersi.

Entrando nell'atrio del palazzo ci imbattiamo in altri suggestivi elementi tipici del liberty: gli affreschi in stile floreale che ricoprono finemente i soffitti delle rampe di scale e le decorazioni nell'originario ferro battuto che riparano le finestre policrome dei pianerottoli. Non passano inosservati nemmeno i mosaici che si susseguono tra una rampa di scale e la successiva e quelli che decorano a metà parete il vano delle scale. Casa De Bernardi nel 1906 è quasi del tutto completata quando, per volere del suo proprietario, il progetto subisce un’inattesa modifica: viene aggiunta nel cortile una tettoia chiusa.
Così si verifica l’unico momento di stallo del cantiere, con un braccio di ferro tra De Bernardi e Fenoglio da una parte e la Commissione D’Ornato dall'altra.

I primi chiedono che venga costruita a tutti i costi questa tettoia, i secondi pongono dei paletti in considerazione del fine ultimo della richiesta di modifica, ovvero un’attività industriale. Il tira e molla si conclude, dopo una fitta corrispondenza tra la proprietà e la Commissione, con un compromesso. Il 18 aprile 1906 la delibera della Giunta Comunale tramite l’assessore Brayda riferisce: “[...] secondo quanto venne in casi analoghi praticato, si possa concedere il chiesto permesso in via precaria, coll'obbligo di demolire la tettoia stessa quando venga a cessare la destinazione della medesima ad uso industriale, facendo risultare della precarietà con regolare atto deliberatamente trascritto a spese del Sig. De Bernardi il pagamento dell’annuo canone di L.10 in riconoscimento della precarietà. La Giunta accorda il permesso […] deliberatamente […] alla osservanza delle condizioni sopra riferite.”



Oggi quella tettoia - dal 1921 proprietà della Confetteria Pfatisch - esiste ancora e si può sbirciarla entrando nel cortile del palazzo.
Nel complesso susseguirsi di palazzi e di stili architettonici tra loro molto diversi, oggi questa casa passa quasi inosservata; ho deciso di scrivere la sua storia convinto che essa meriti attenzione per una serie di preziosi dettagli artistici. Infatti lungo la linearità della facciata risaltano le decorazioni minori, le finiture, le volute, i giochi ai capitelli e sulle finestre, i ferri battuti dei balconi sotto i portici; i colori prima accesi e caldi e via via più pallidi e freddi producono un risultato finale di grande squisitezza e il colpo d’occhio che si ha osservando Casa De Bernardi è di grande impatto.

La storia di Casa De Bernardi non si esaurisce a ciò che appare all'esterno, essa racchiude in sé e narra svariate storie: fa parte della rete vastissima delle 130 case costruite in soli 25 anni dall'architetto Pietro Fenoglio, ed ancora sotto il livello delle sue cantine si apre un dedalo di cunicoli e rifugi anti-aerei costruiti durante la II Guerra Mondiale che si collegano a quelli delle abitazioni vicine e che arrivano quasi alla stazione di Porta Nuova.

E quella tettoia oggetto di controversie burocratiche? Sotto i portici, tra la folla che attraversa ogni giorno quel tratto di via, oggi come allora, scorgiamo l’ingresso della ormai famosissima pasticceria Pfatisch (oggi aderente all’Associazione Locali Storici di Italia), inaugurata nel 1915, ma che nel 1921 viene trasferita qui, in casa De Bernardi e da allora non si è mai più spostata. Quasi a dire un luogo magico! Nel 1926 gli affari della pasticceria erano proficui tanto che i mastri cioccolatai decisero di ingrandire il loro locale raddoppiandolo in grandezza e ristrutturandolo con un gusto ispirato all’art decò: la facciata fu quindi costruita in legno massello di noce con inserti di onice, come anche il portainsegna che racchiude lettere in bronzo. Gustarvi un buon caffè accompagnato da deliziosi pasticcini artigianali permette di respirare un’atmosfera d’altri tempi e di provare un insolito stupore nell'ammirare uno spazio rimasto intatto nel tempo: una struttura in massello di noce con specchiere nelle quali mirarsi timidamente, piani di cristallo e banchi coperti di marmo screziato con inserti di radica di noce.


Un clima avvolgente, un accogliente salotto di casa dove vanno a posarsi con delicatezza i riflessi di luce dei due lampadari di Murano di inizi del ‘900.
Entrando da Pfatisch sembra che il tempo si sia davvero fermato. La confetteria ha subìto nel tempo giusto qualche ritocco al fine di ottemperare alle rigide e giuste normative che regolano la sicurezza degli esercizi commerciali, ma nulla ha modificato il cuore del luogo. Oggi come allora gentili signore in divisa rossa, servono i clienti, i mastri cioccolatai continuano a sfornare piccole delizie di pasticceria: giandujotti, tavolette di ogni forma e dimensione, creme da spalmare e praline di tutti i gusti. Ogni giorno, ad ogni ora, sono loro che hanno lavorato e lavorano per soddisfare anche i palati più sopraffini di timida gente comune, o di intellettuali famosi come Mario Soldati, Indro Montanelli, Norberto Bobbio, o di nobili e aristocratici come il Duca d’Aosta e la contessa Calvi di Bergolo, che hanno varcato la soglia del negozio. Una storia che racchiude le piccole e grandi storie da quasi cento anni.



E come non ricordare che di recente Casa De Bernardi e la Cioccolateria Pfatisch sono state scelte per girare alcune scene di film quali “Il grande Torino” con i famosissimi Michele Placido, Beppe Fiorello e Tosca d’Acquino e “Enrico Mattei” diretto magistralmente da Giorgio Capitani.

Preziosità, suggestione, raffinatezza e atmosfere calde e sinuose rendono vita a un luogo che non vuole né può tramontare.


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