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Posted by : Unknown
November 21, 2015
Il contratto di apprendistato
articolo di Bruno Ferrero
Nel novembre del 1851, Don Bosco scrive e fa firmare uno dei primi contratti della storia tra padrone e apprendista. Don Bosco mette il dito su molte piaghe.
Alcuni padroni usavano i giovani apprendisti come servitori e sguatteri. Egli li obbliga a impiegarli solo nel loro mestiere. Si preoccupa della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali. Ed esige uno stipendio “progressivo” (Memorie Biografiche IV, 295-297).

Mi illuminavano a tratti i bagliori rossi del forno in cui s’arroventava la pasta di vetro. Vedevo gli operai soffiare nei lunghi tubi per dar forma a bottiglie, fiaschi, portafiori, soprammobili modellando velocemente le masse di vetro incandescente.
Mi piacevano soprattutto le grosse “lacrime” luccicanti per i grandi lampadari a goccia dei signori.
Un giorno arrivò in fabbrica quel giovane prete. Lo accompagnava un ragazzo di appena dodici anni. Sentii che il padrone protestava: «Don Bosco, quello che mi propone lei è una assurdità! Nessuno fa una roba simile!». Gentile e sorridente ma irremovibile, don Bosco insisteva.
Poi, con un gesto rapido, mi afferrò e cominciò a scrivere su di me. Aveva le idee chiare: le parole fluivano celeri e la penna correva veloce sul mio corpo di carta.
«Il Sig.Carlo Aimino riceve come apprendizzo nell’arte sua di vetraio il giovane Giuseppe Bordone nativo di Biella, promette e si obbliga di insegnargli la mede-sima nello spazio di tre anni, i quali avranno il suo termine con tutto il mille ottocento e cinquantaquattro il primo dicembre e dargli durante il corso del suo apprendizzaggio le necessarie istruzioni e le migliori regole riguardanti l’arte sua ed insieme gli opportuni avvisi relativi alla sua buona condotta, con correggerlo, nel caso di qualche mancamento, con parole e non altrimenti; e si obbliga pure di occuparlo continuamente in lavori relativi all’arte sua e non estranei ad essa, con avere cura che non eccedano le sue forze…»
Alcuni minuti dopo,don Bosco soffiò sulla mia superficie per a-sciugare l’inchiostro. Poi mi consegnò al mio padrone che lesse con attenzione e sospirò. Ebbi un attimo di paura. Ma alla fine il buon Carlo firmò e strinse la mano di don Bosco. Respirai sollevato.
Ora sono inquadrato in una elegante cornice, conservato con ogni cura a Valdocco. Sono entrato nella storia come uno dei primissimi contratti di apprendistato per la difesa dei giovani lavoratori, che prima erano isolati e indifesi nelle mani dei padroni.
Grazie a me (e soprattutto a don Bosco) un ragazzo aveva potuto apprendere un mestiere, essere giustamente retribuito e soprattutto ricevere il rispetto e la dignità di giovane lavoratore.